Notule
(A cura di
LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)
NOTE E
NOTIZIE - Anno XVII – 06 giugno 2020.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la
sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]
La voce
umana contiene informazioni acustiche sui movimenti che accompagnano la parola.
Uno studio di Wim Pouw e colleghi dimostra che
la voce umana contiene informazioni relative a stati dinamici del corpo,
legando l’evoluzione del linguaggio a quella della comunicazione non verbale.
I movimenti degli arti superiori compiuti mentre si parla sono rappresentati
attraverso marker acustici particolari, rilevati automaticamente dagli
ascoltatori. I ricercatori hanno accertato che i volontari in ascolto possono
sincronizzare i propri movimenti a lievissimi moti del polso di un parlante,
solo mediante la recezione acustica e senza alcun contatto visivo. [Cfr. Wim
Pouw et al., PNAS USA 117 (21):11364-11367, 2020].
Discussione di
BM&L-Italia sui marker di movimento nella voce umana. La
discussione ha preso le mosse dalle tesi di David McNeill, che nel 1985
ha dimostrato la stretta relazione esistente tra gesti e parola, ipotizzando l’appartenenza
di simboli gestuali e verbali al medesimo livello di elaborazione neurocognitiva. In precedenza si studiavano mediante video
registrati i movimenti della mano controlaterale alla sede corticale del
controllo esecutivo della parola, ma gli studi recenti hanno condotto ad
acquisizioni straordinarie (Note e Notizie 30-05-20 come il linguaggio può
influenzare la percezione visiva). La discussione si è poi sviluppata
secondo il modello teorico elaborato dal presidente Perrella. [BM&L-Italia
news, 3 giugno 2020].
La
valutazione con EEG del linguaggio fornisce informazioni sulla coscienza. Lo
studio dei rapporti tra coscienza e cognizione nell’uomo ha seguito
tradizionalmente due indirizzi principali: l’analisi dei processi percettivi
coscienti, in particolare quelli associati alla visione, e l’indagine sull’uso
consapevole del linguaggio verbale. A questo secondo filone di ricerca appartiene
l’esame della coscienza residua nei pazienti non più reattivi. Gui e colleghi hanno dimostrato che la valutazione delle
abilità comunicative mediante elettroencefalogramma (EEG) può obiettivamente
caratterizzare stati di coscienza e consentire una stima prognostica nei singoli
pazienti. [Gui Peng,
et al. Nature Neuroscience – AOP doi: 10.1038/s41593-020-0639-1, 2020].
Cervelletto:
per lo sviluppo è importante il rilievo del tasso di ossigeno. Kullmann e colleghi hanno identificato un rapporto tra rilevazione
dei livelli di O2 ed embriogenesi cerebellare. Durante lo sviluppo, nel
cervelletto lo stato ipossico stimola l’espressione di Hif1a per
mantenere la proliferazione cellulare fino a quando la vascolarizzazione crea
condizioni di ossigenazione fisiologica, attivando i geni del complesso di
segnalazione della polarità Pard e inducendo l’arresto
della proliferazione e l’inizio della migrazione [Cfr. Dan Goldowitz, Neuron – AOP doi:
10.1016/j.neuron.2020.05.002, 2020].
Come si
passa da un’ira aggressiva alla materiale aggressione di qualcuno. È noto
che un’appropriata stimolazione ipotalamica può evocare il comportamento
complesso dell’aggressione, ma la base neurofunzionale dell’esecutività motoria
non era stata fino ad oggi stabilita. Falkner e
colleghi hanno identificato un circuito ipotalamo-mesencefalico che contiene una
rappresentazione gerarchizzata del comportamento aggressivo, e hanno scoperto
che le rappresentazioni neurali complesse sono trasformate in segnali d’azione
semplificati lungo la via che raggiunge il mesencefalo. [Falkner A. L., et al. Neuron 106 (4):
637-648, 2020].
L’evoluzione
delle facoltà cognitive è associata a una semplificazione della dentizione. La
comparsa della dentizione nei vertebrati ha rappresentato un progresso
straordinario per l’assunzione di alimenti, e la diversità di forma, numero,
dimensioni e sedi dei denti nei vari generi è stupefacente. Ma, nel corso della
filogenesi, per arrivare all’adattamento dei mammiferi si è avuta una
semplificazione della dentizione, evidente nei carnivori e ancor più nei
primati, che giungono a sviluppare il potere cognitivo del cervello umano. Studi
recenti su Danio rerio, il pesciolino striato della ricerca neurobiologica,
hanno confermato un’ipotesi sull’origine dell’apparato di masticazione formulata
60 anni fa: le file di denti originano per moltiplicazione sequenziale di un singolo
precursore ancestrale. [Alexa Sadier et al., Bio Essays 42, 6, 2020].
La
neurochimica del claustro quale traccia per decodificarne i ruoli funzionali. Dopo la
recente acquisizione di un ruolo del claustro nella sincronizzazione corticale
attraverso gli interneuroni (Note e Notizie 16-05-20 Ruolo del Claustro
nella sincronizzazione), la discussione dei nostri soci si è sviluppata intorno
alle possibili indicazioni fisiologiche fornite dalla ricerca neurochimica. Questo
campo di studi ha indagato la lamina di tessuto grigio scoperta da Felix Vicq d’Azir sulla base di quattro
differenti ipotesi di lavoro: 1) se questo nucleo possa considerarsi derivato
dalla corteccia o dai gangli basali; 2) se il claustro e il nucleo piriforme si
possano considerare suddivisioni della stessa struttura; 3) se esistano
compartimenti neurochimici distinti nel claustro; 4) se vi siano al suo interno
popolazioni specifiche, distinguibili su base neurochimica.
I risultati di questi studi evidenziano
notevoli differenze fra le specie animali studiate ma, soprattutto, le interpretazioni
dei risultati sono tante quanti sono i gruppi di ricerca che le propongono. I
soci sono d’accordo nel ritenere che, sulla base delle evidenze più recenti, la
“housekeeping function”,
sostenuta da alcuni sulla scorta delle ipotesi di Sherk
e LeVay per il claustro visivo, può essere definitivamente
archiviata e, in attesa di dati che non si prestino a letture differenti, è
giustificato orientarsi per ruoli attinenti a processi “globali”. [BM&L-Italia
news 04 giugno 2020].
Quale
paradigma è opportuno impiegare per valutare l’indipendenza del proprio
giudizio? Se il determinismo biologico, fondato sull’equivalenza fra decisioni
percettive elementari e scelte esistenziali umane, nonché sulla supposizione
che la scelta decisionale del momento sia informata esclusivamente agli stimoli
attuali e non influenzata da tutto il patrimonio di esperienza personale, è
facile da rifiutare, così come sono facili da rifiutare gli artifici di quelle
tesi filosofiche che liquidano la questione come improponibile, è difficile non
provare a cimentare le tesi del nostro seminario permanente sull’Arte del Vivere
per provare a trovare risposta. Questo tentativo di sviluppare una tecnica per
accrescere la consapevolezza di sé attraverso una meta-rappresentazione
intersoggettiva di un’esperienza-modello che includa il soggetto della volontà,
è stato l’argomento di un incontro fra i soci. [BM&L-Italia news 05
giugno 2020].
L’aiuto a bambine
e ragazze vittime di abusi è complicato dalla tendenza a nascondere l’accaduto. Gli abusi
sessuali nell’infanzia e nell’adolescenza sono all’origine di disturbi psichici,
psicosomatici e disfunzionali di vario genere e gravità, che vanno dalle concause
di una lunga lista di patologie internistiche al disturbo post-traumatico da stress
(PTSD), dall’inibizione sessuale a un alterato rapporto con sé stessi. Anche se
con mezzi di intervento culturale e di difesa sociale si spera di prevenire gli
abusi e punire gli aggressori, è molto importante lo studio di ogni aspetto di
questo odioso reato, per contribuire a creare condizioni in grado di favorire
circoli virtuosi efficaci per giungere alla cancellazione di questa barbarie
dalla nostra società.
A questo scopo, lo studio
della psicologia di bambini e adolescenti in rapporto al contesto educativo e
alle figure di riferimento familiari e scolastiche può essere molto utile per
affrontare un aspetto che rimane problematico per l’aiuto psicologico, oltre
che per la tutela legale, e non mutato negli ultimi anni: la difficoltà da
parte delle ragazze, dei ragazzi e dei bambini abusati a rivelare l’esperienza
traumatica e l’autore dell’abuso.
La comprensione del perché
nell’infanzia e nell’adolescenza si sperimenti frequentemente un’inibizione o
impossibilità a rivelare un abuso e a denunciare l’adulto colpevole è stata
oggetto della psicologia dell’età evolutiva e numerosi costrutti teorici del
passato sono stati sviluppati in chiave psicoanalitica. In studi recenti è
emerso che le piccole vittime vivono la circostanza dell’abuso subito come un
terribile segreto che possono scegliere di custodire, provando a cancellarne le
tracce dalla mente, o rivelare, compromettendo l’immagine di sé, attualizzando
la sofferenza, l’odio per l’aggressore e la paura della sua vendetta.
Nancy D. Kellogg, Wouter Koek e Shalon M. Nienow hanno condotto uno studio allo scopo di identificare
i fattori che prevengono, inducono e ritardano la rivelazione da parte di
bambine e ragazze in età adolescenziale che giungono all’attenzione medica per abusi
sessuali o aggressioni, e al fine di analizzare le differenze nella propensione
a rivelare gli abusi. I tre autori dello studio hanno individuato 601 tra
bambine e ragazze abusate o aggredite, disposte a rispondere alle domande dei ricercatori
e a narrare l’evento traumatico.
La bassa età –
inferiore a 11 anni – della vittima è risultata essere il più affidabile parametro
per prevedere il ritardo nella rivelazione, e la paura di conseguenze
per sé stesse la ragione più comune del procrastinare la denuncia, sia
nelle bambine sia nelle adolescenti. Uno stretto legame con la gravità dell’abuso,
con l’età adulta dell’aggressore e con la reazione di auto-accusa esisteva solo
per la ritardata denuncia in età adolescenziale.
Kellogg e colleghi
concludono che un’influenza notevole sulla tendenza a rivelare o a tacere è
esercitata dalla maturazione morale e dall’educazione sociale nell’età
media dell’infanzia, e che le strategie più efficaci per indurre la rivelazione
degli abusi dovrebbero mirare a ridurre la paura delle conseguenze attraverso
una solida, affidabile e rassicurante alleanza delle bambine con persone
adulte, in primo luogo i genitori stessi. [Cfr. Child Abuse
& Neglect 101, 104360, 2020].
Notule
BM&L-06 giugno 2020